A scuola con Jeeves

Da Vanity fair,

Lo confesso: non immaginavo nemmeno lontanamente che il Principe del Liechtenstein dovesse essere chiamato Monsignore, mai avuto il sospetto che in tavola quando è presente una coppetta lavadita si debba cambiare il tovagliolo agli ospiti tra il primo e il secondo, mai nessuno si è preso la briga di informarmi del fatto che in natura esistono 8 posate da pesce e ben 14 tipi diversi di cucchiaio. Ma adesso, dopo aver preso parte a una due giorni di lezioni di bon ton per maggiordomi, lo so. Che dirvi? Colmare le lacune è faticoso, e ho capito che essere educati è indubbiamente scomodo, però – lo giuro – è bellissimo. Così, mentre la fascinosissima Csaba dalla Zorza, flautando, ne parlava, non ho potuto fare a meno di passare in rassegna tutta la mia vita. Con orrore, ho visto sfilarmi davanti agli occhi un’orrida parata di errori e infrazioni, sbagli che in fondo commettiamo quasi tutti, inciampando senza rendercene conto. Armandomi di buona volontà ho deciso, qui, di riparare. Non pretendo di essere il vostro Conte Nuvoletti (il compianto autore di Gardenie e caviale), ma mi limiterò a qualche appunto, per elaborare il quale sarà sufficiente ripensare all’ultima volta che ho invitato amici a cena.

Sia detto con franchezza: io ho sbagliato tutto subito. Tanto per cominciare, ho inviato un sms per avvertirli, e per giunta, la mattina per la sera. Be’, non si fa. Si telefona. E si propone l’incontro con almeno tre, quattro giorni di preavviso. Quindi potrete riagganciare la cornetta e schiaffarvi in poltrona. Perché se avete conoscenze coltivate, il pomeriggio precedente la cena, all’ora del tè (o the), si presenterà qualcuno con un mazzo di fiori. Non avete conoscenze coltivate? Con tutta probabilità attenderete invano. Di certo qualcuno li porterà la sera stessa, e sarà in errore. Perché, pare, l’omaggio floreale si fa il pomeriggio precedente o il giorno successivo, e il biglietto va scritto di proprio pugno – imperdonabile infortunio costringere il padrone di casa a pescare nell’ubertoso fogliame due righe standard concepite dal fiorista.

Ma veniamo a noi. Se a poche ore dall’evento mondano che avete convocato la vostra ragazza cincischia indecisa su come apparecchiare, prendete il toro per le corna e ditele senza indugi che la tovaglia dovrà essere di lino, lavata e stirata espressa e senza pieghe, inamidata a dovere (guai se odorasse di ammorbidente!) e accompagnata da tovaglioli stirati dritti e piegati a mano. Quindi, ebbri di competenza, dirigetevi verso lo stipetto dei sottopiatti e disponeteli a un centimetro e mezzo dal bordo del tavolo. Il piatto piano a due e mezzo.
A questo punto, fronteggiate a testa alta il solito dramma: e le posate? Ora lo so. Le forchette sempre a sinistra, con l’unica eccezione di quella per molluschi e ostriche, che starà a destra perché anticamente, tra il ‘700 e l’800, quando le posate cominciavano a comparire sulle tavole, era nient’altro che un cucchiaio con uncino. I tovaglioli anche, sempre a sinistra, e a lato delle forchette. Ma se siete un maggiordomo, state all’erta e teneteli d’occhio, o potrebbero diventare il vostro incubo. Perché se una vostra invitata, dopo essersi pulita la bocca, lo riporrà notevolmente a sinistra, significa che si dovrà assentare per andare in bagno. Toccherà a voi sfilare la sedia da sotto le sue nobili terga.
Al momento di distribuire i posti (ricordando che il personaggio più importante va collocato alla destra del padrone di casa), prendete un metro da sarto: il perfetto placé prevede uno spazio vitale di 60 centimetri, per non imbarazzare gli ospiti costringendoli ad aspri conflitti di gomito. Se avete apparecchiato in giardino e una fanciulla si presenterà con un cappello, siate sereni, perché se conoscerà il galateo, saprà benissimo che la tesa di un copricapo da signora non deve eccedere i 59 centimetri, per permettere a due donne vicine di poterlo indossare contemporaneamente.

Ma a fronte di tanta eleganza, non viviamo nel migliore dei mondi possibili. Abbiamo tutti vecchie zie urlatrici ed ex compagni di sbronze che faticano a riprendere la retta via. Gente che, se ritarda a cena, non avverte. Che fare in questi casi? Niente paura, il galateo vi protegge. Attendete 15 persone? Bene. Accogliete tutti con stretta di mano franca, né inerte né troppo energica, breve ma non affrettata (prendetevi la destra con la sinistra e allenatevi, ma se avete a cena il Papa, ricordatevi di inchinarvi solamente, toccando terra col ginocchio sinistro e non col destro). Quando sono arrivati almeno i primi 8 debuttate con passo sicuro nella sala da pranzo, non sbaglierete. A tavola siate sobri, servitevi ritrose porzioni da fringuello e non abbiate dubbi: il vassoio si passa in senso orario. Chiacchierate amabilmente e a bassa voce, dite pure inisvizzera e inispiaggia, ma cercate sempre di sembrare naturali, perché l’eleganza è materia fluida. Non allentatevi la cravatta Plastron che avrete allacciato in uno dei 14 modi che esistono, non vantatevi del vostro stipendio o di conoscenze altolocate che non avete. Nel congedarvi, restate all’erta e ricordate che farvi sfuggire un arrivederci sarebbe un’imperdonabile cafoneria.

Un ultimo consiglio? Prima di ogni evento mondano, invitati o invitanti che siate, non dimenticate quel che diceva Churchill a proposito di come ci si presenta. Diceva: “Abbiamo una sola occasione per far bella figura.”
(Per gli uomini: abito grigio o blu, camicia bianca o azzurra, cravatta di seta; per le signore, mai pantaloni, no a scollature eccessive o colori forti e… per carità non toccatevi i capelli.)